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La sede municipale di Lettopalena è situata nella zona centrale del Comune.

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Descrizione

All'interno, si possono trovare uffici dedicati ai vari servizi comunali dove vengono svolte le attività amministrative e di servizio ai cittadini, oltre a spazi per incontri e attività pubbliche.

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Modalità d'accesso

Assenza di barriere architettoniche.

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Indirizzo

Via Maiella, 4, 66010 Lettopalena CH, Italia
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Orario per il pubblico

Lunedì : 09:00-12:00 / 15:30-18:00
Martedì : 09:00-12:00
Mercoledì : 09:00-12:00
Giovedì : 09:00-12:00 / 15:30-18:00
Venerdì : 09:00-12:00
Sabato : Chiuso
Domenica : Chiuso
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Punti di contatto

Telefono : 0872 918471
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Ulteriori Informazioni

Costo: gratuito.


Storia del comune e tradizioni 

Lettopalena sorge su un colle roccioso del versante destro del fiume Aventino. Il suo territorio si estende per 20,97 Kmq su un area di alta collina. Borgo di origine Medievale, XI secolo, che probabilmente già in età romana era sotto l'influenza di Juvanum, località non molto distante, prima importante centro sannita carecino, poi capitale regionale romana. La scarsa documentazione superstite non consente di ricostruire le vicende storiche nei secoli seguenti, si sa che nel XV secolo vi ebbe signoria Antonio Caldora, successivamente i di Capua ,conti di Palena. Dal XVI secolo entro' a far parte dei possedimenti dei d'Aquino di Caramanico. Di origine medievale il paese viene citato nei documenti del secolo XI. Feudo di Antonio Caldora, passo’ sotto i di Capua e i d’Aquino.

Per spiegare in maniera più approfondita lo sviluppo urbanistico di Lettopalena, occorre effettuare un salto nel passato di oltre 1000 anni e proiettare il nostro sguardo al tempo in cui i monaci benedettini fondarono l’Abbazia di Santa Maria di Monteplanizio, l’unica memoria storica del nostro Paese.

Fu costruita intorno all’anno 1000. Nel 1020 i benedettini innalzarono il Monastero su un vasto territorio donato dal conte Ruggero della Marca Teatina. Il primo Abate fu Uberto. Nel 1065 il Monastero fu donato al vescovo di Chieti, Attone, e successivamente all’altro vescovo Guglielmo. Susseguì una lunga serie di donazioni e annessioni. Grazie alla posizione geografica in cui si innalzava, l’Abbazia riscontrò un notevole successo. Prossima alle acque del fiume Aventino, costruita su un terreno fertile, posizionata ai piedi della Majella e totalmente immersa nel verde, la Sacra struttura divenne ben presto meta delle popolazioni che migrarono dall’Europa occidentale e meridionale tra il IV e il III millennio a.c., i Pelasgi. (Secondo fonti storiche i Pelasgi trasformarono la propria denominazione in Peligni). Queste caratteristiche innalzarono il prestigio dell’Abbazia, tanto che in tempi non lunghissimi, rientrarono nella sua giurisdizione anche i tre monasteri di Santa Maria del Palazzo presso Juvanum, Santa Maria del Liscia Palazzo e Santa Maria di Portella.

La laboriosità dei monaci permise la formazione di un vero e proprio insediamento umano, dove si viveva in un rapporto di reciproca disponibilità e fiducia. Le relazioni tra l’Abate e i villici erano ben definite. I monaci per primi davano il buon esempio, organizzavano e stabilivano in ogni istante la vita di tutti. Tutti sapevano di avere un compito all’interno di questa società primordiale, e ognuno portava a termine il proprio lavoro correttamente e nel migliore dei modi. Per molti anni il Paese, che allora veniva chiamato “Terra de Lecto”, si strutturava in questo modo e la vita sociale si svolgeva sotto il rigido controllo dell’Abate e dei monaci. Il punto di riferimento era il Castello di Palena, nella cui contea rientrava Lama, Taranta, Forca Palena, Pizzi, Rocca di Pizzi, e l’Abbazia di Santa Maria di Monteplanizio con la “Terra de Lecto”. Purtroppo si verificò un infausto evento nel corso della spietata lotta che contrappose i barbari, fedeli all’Imperatore Federico Barbarossa, e le truppe di papa Gregorio IX. Questi si rivolse ai vescovi abruzzesi affinché sollevassero le popolazioni delle loro diocesi contro l’imperatore scomunicato. L’Abbazia che aveva accolto l’appello del papa pagò le conseguenze della sua scelta con la devastazione effettuata dai barbari delle zone contigue. In seguito, la situazione peggiorò: il monastero decadde e lo splendore dell’Abbazia ben presto si spense.

Il vecchio paese: Lettopalena, come spiegato in precedenza, si costituì intorno alla comunità religiosa ed è ben evidente come i benedettini abbiamo influito sullo sviluppo del Paese. Essi, oltre a svolgere le funzioni religiose, organizzavano le attività lavorative della popolazione, sfruttando la terra e le sue risorse. Molto importante fu la diffusione del tralcio della vite che permise di produrre un ottimo vino, rinomato in tutto l’Abruzzo. Rilevante era anche l’allevamento di bestiame, soprattutto ovino, che risiedeva nelle stalle fuori del Paese, su una terrazza rialzata che si affacciava sul fiume: il Calvario. Attorno al 1500 risultava formato l’Oppido di Lettopalena, la città fortificata, sulla riva dell’Aventino opposta a quella dell’Abbazia. L‘intero Paese era delimitato dalle mura e dalle torri di avvistamento; due porte, una all’inizio e una alla fine della strada, proteggevano l’ingresso dagli eserciti invasori o dalle compagnie di ventura. Le abitazioni si innalzavano dal fiume, molte erano addirittura costruite su di esso. Il paese faceva parte della contea di Palena; che a sua volta subiva l’influenza di ciò che accadeva nel Regno. A gettare in ginocchio la comunità furono spesso epidemie e terremoti. A causa della peste di metà ‘600, intere famiglie furono decimate e centinaia di persone morirono. Meno pesante fu il bilancio del colera del 1836-1837. Per quanto riguarda i terremoti se ne ricordano di sconvolgenti: 1349, 1561 (la facciata dell’Abbazia di Monteplanizio fu distrutta), 1706 (il paese fu raso al suolo, 61 furono le vittime) e 1857. Il 2 agosto del 1806 Giuseppe Bonaparte, nominato Re di Napoli, promulgò la legge che aboliva la feudalità; ci fu la suddivisione dei territori e Lettopalena, dopo una lunga contesa con Palena, riuscì ad ottenere l’area dei Pizzi. Furono varate altre leggi che permisero una ripartizione del territorio più precisa: nacquero le province e a capo di ogni comune c’erano i sindaci con il consiglio comunale. Nel 1860 l’Italia si univa e in alcuni comuni, compreso Lettopalena, scoppiarono rivolte e tumulti (ben presto sedati) contro il Re Vittorio Emanuele II. Il processo di unificazione portò all’isolamento delle regioni più decentrate e povere come l'Abruzzo. Lontani dalle sedi decisionali, il declino fu inevitabile. Le attività agricole, la pastorizia, l’allevamento di bestiame, la produzione di vino, non bastavano più a soddisfare le esigenze della popolazione. Molte famiglie vivevano in miseria. Fu la volta dell’emigrazione. Si cercava lavoro altrove; per lunghi periodi, molti uomini lasciarono la propria terra per prestare la loro opera spesso all’estero.

La guerra: Nei giorni del 18 e 19 novembre 1943, Lettopalena fu letteralmente rasa al suolo. La guerra che imperversava in tutta Italia, raggiunse anche questo piccolo angolo di terra incontaminato. Ma non fu un bombardamento ad annientare il Paese, né un’azione belligerante, bensì l'ultimo disegno militare dei nazisti, che durante la loro ritirata ricevettero l’ordine di fare terra bruciata qualsiasi cosa incontrassero sul loro cammino. La posizione rialzata del Paese, rappresentava un ottimo avamposto militare per il controllo dell’avanzata dell’esercito inglese, che in quel periodo aveva già occupato Casoli e si dirigeva verso l’Aventino. Tutte le case del Paese furono abbattute dalla forza della dinamite, le stalle furono bruciate, gli animali razziati e decimati. La popolazione lettese, che in quel periodo era formata principalmente da donne, bambini e anziani, si trovò completamente impreparata all’evento, anche se i tedeschi avevano pattugliato la zona molto spesso durante le settimane precedenti. Ma chi immaginava una cosa del genere? Senza riparo, né cibo e abiti, molti abitanti si rifugiarono all’interno dell’Abbazia o in qualche stalla che non era stata completamente abbattuta. L’inverno era alle porte e i tedeschi non avevano alcuna intenzione di lasciare in pace quelle persone. Alcuni mesi dopo, rastrellarono la popolazione e li costrinsero con forza a compiere un lungo tragitto a piedi verso Rocca Pia. Un viaggio terrificante: la neve era molto alta, il freddo pungente, la gente stanca e disperata. Raggiunta la meta designata dai tedeschi, molti ritornarono indietro, cercando di attraversare i sentieri impervi della montagna, per non essere visti dalle truppe tedesche che continuavano a pattugliare la zona. Altri raggiunsero la Puglia dove si erano creati dei campi profughi, altri ancora si spinsero oltre la linea del fronte, per cercare aiuto agli alleati e ai partigiani. Ma la resa dei conti era ormai prossima. I tedeschi ben presto si ritirarono e gli inglesi raggiunsero Lettopalena. Ma cosa avrebbero trovato i lettesi al loro ritorno al Paese? Lo scenario che si profilò dinanzi ai loro occhi era agghiacciante: le loro case trasformate in polvere, il loro bestiame decimato e i campi devastati. Solo la vecchia chiesa e il suo campanile erano rimasti quasi integri e continuavano a dominare quel paesaggio di guerra e distruzione. Si doveva ricominciare tutto da capo. Il borgo fu presto abbandonato, nessuno vi fece ritorno… tutti volevano dimenticare. Il nuovo centro abitato fu costruito in una posizione più comoda, a monte del fiume Aventino. Presto Lettopalena ottenne anche l’indipendenza da Palena. Le ristrettezze economiche costrinsero molti uomini a emigrare in cerca di lavoro. Alcuni di loro non fecero più ritorno al Paese. Lentamente la situazione migliorò; la forza e l’orgoglio della gente riuscì a risollevare la condizione di disagio che si era verificata in seguito alla guerra. Si ricostruirono le case, le stalle, si ricominciò a lavorare nei campi, ma niente fu più come prima.


La patria del caciocavallo

Lettopalena costituiva nel corso del XII secolo l'ultimo possedimento della Diocesi di Valva lungo la Valle dell'Aventino e pertanto era soggetta all'autorità spirituale dei vescovi peligni che diventeranno, a partire dalla metà del XVII secolo, vescovi "di Valva e Sulmona". Nella Bolla di papa Lucio III del 1183, diretta al vescovo Odorisio che risiedeva nella cattedrale di San Pelino a Corfinio, viene menzionata l'Ecclesia Sancta Maria de lecto appartenente appunto cum pertinentiis suis alla Diocesi 1 Maggio, 2008annualmente alla chiesa di San Panfilo di Sulmona di 6 libbre di cera. Secondo lo storico sulmonese Emilio de Matteis (XVII secolo) sia la chiesa di Sancta Maria che il castello di Letto sorsero accanto al monastero benedettino di Santa Maria di Monte- Planizio, edificato nel 1020 dal conte Ruggiero di Chieti. Nella Bolla corografica di Onorio III del 1223 si conferma il possesso di Santa Maria de etto al vescovo di Valva. Ma perché de letto? Accanto alla voce Palena, derivante dalla base mediterranea Pala ovvero "prato in erto pendio, senz'alberi", compare il qualificante lectus aggiunto in seguito "con valore geomorfico", nel senso di "rialzo erboso di terra". E' quanto si apprende dal noto Saggio di M. De Giovanni, dal titolo appunto Kora. Storia linguistica della provincia di Chieti (1989). Ma non è ovviamente su tali disquisizioni glottologiche che si vuol richiamare l'attenzione del lettore, bensì su una singolare prestazione del clero di Lettopalena nei confronti dei vescovi visitatori di Valva, di cui appunto si fa cenno in un verbale di “Santa Visita” compiuta a Palena dal vescovo di Valva Giovanni Merlino, il 1° settembre del 1492, proprio l'anno della scoperta dell'America! Tale verbale è contenuto in una miscellanea di documenti cartacei raccolti in una elegante cartella e conservati presso l'Archivio della cattedrale di San Pelino a Corfinio. Quando noi l'abbiamo esaminato era ancora vivo l’ultimo canonico di San Pelino, il compianto Don Cesiro, che tanto zelo aveva profuso nella riorganizzazione dell'Archivio di Valva. In seguito avemmo modo di constatare che il documento in questione, in forma di regesto, era stato pubblicato da G. Celidonio nel suo terzo volume de La Diocesi di Valva e Sulmona (Casalbordino 1911). Al Celidonio tuttavia era sfuggita l'importanza della pur breve menzione del caciocavallo, poiché la sua attenzione era rivolta ai contenuti ecclesiastici della visita pastorale effettuata dal vescovo Merlino nel mese di luglio a Lettopalena ed il 1° settembre a Palena. Dal documento in questione risulta che mentre si trovava a Palena, il vescovo Giovanni Merlino ricevette "da don Ugo del Lecto de Palena pecze doi de caso cavallo uno” cioè una coppia di caciocavallo. Siamo come si è detto, nel 1492 ed allo stato attuale delle nostre conoscenze si tratta della menzione più antica di questo tipico formaggio bovino, essiccato a coppie “a cavallo” di pertiche, donde il caratteristico nome. In seguito si ritrova citato nella seconda metà del XVI secolo in uno dei famosi Viaggi in Abruzzo di Fra' Serafino Razzi. In un'epoca come la nostra, fatta di suggestivi messaggi pubblicitari, la conquista di vasti mercati è affidata - per restare in ambito abruzzese - a slogan come "la patria dello zafferano", oppure, "la patria dei confetti", ai quali può aggiungersi benissimo: Lettopalena, "la patria del caciocavallo". Sapranno valorizzare gli Amministratori locali questa notizia più unica che rara? Le iniziative a tal riguardo sono infinite, a cominciare da una mostra-mercato del caciocavallo abruzzese da tenersi la prossima estate proprio a Lettopalena. Va ricordato, come ammonisce Cicerone, che il presente è gravido del futuro. Pertanto bisogna fin da ora mettersi al lavoro per assicurare alla manifestazione un successo dagli imprevedibili sviluppi e certamente positivi per Lettopalena e tutta la Valle dell'Aventino.

di Franco Cercone - Articolo tratto dal periodico "Pro Locis"


Oreste Recchione - la sacra famiglia (2012 - 110 anni dalla realizzazione)

Quadro conservato all'interno dell'Abbazia di Monteplanizio, è "La Sacra Famiglia ". Si tratta di un'enorme pala d'altare dipinta da Oreste Recchione nel 1902.  
Per non dimenticare...

Oreste Recchione pittore palenese (Biografia) 

Oreste Recchione nasce a Sant’Angelo dei Lombardi (Avellino) il 30 settembre 1841 da Orazio e Marianna Parzanese.
Presto, si trasferisce insieme ai genitori a Palena, dove il padre, unitamente ad alcuni membri della famiglia, inizia a gestire il lanificio tuttora iscritto sotto la Ragione Sociale di Donato e Fedele Recchione.
Dopo aver concluso il ciclo dell’apprendimento di base a Palena, dove ha frequentato la scuola comunale, giovato anche dal supporto del colto canonico Cesare Falcocchio, nel 1850 si trasferisce a Pescocostanzo per proseguire negli studi superiori di orientamento classico.
Qui trascorre cinque anni portando a termine gli studi, influenzato, oltretutto, dalle numerose espressioni d’arte e dalla fioritura degli studi umanistici e filosofici che interessavano in quegli anni il piccolo centro abruzzese.
Nel corso della sua formazione intervengono diversi esempi di orientamento patriottico e liberale che lasceranno un segno tangibile nelle sue convinzioni e nelle sue inclinazioni. In questi anni si colloca anche l’incontro con il coetaneo Teofilo Patini.
Nel 1853 muore a Napoli Pietro Paolo Parzanese, fratello di sua madre, noto per le sue capacità oratorie e soprattutto di poeta. L’opera e la produzione dello zio, lasciano nel Maestro una notevole impronta.
Nel 1855 completa la preparazione superiore e consegue quella che allora si chiamava “CEDOLA IN BELLE LETTERE”.
Viene condotto a Napoli dallo zio paterno, Francesco, medico e docente presso l’Università federiciana, dove si iscrive alla facoltà di lettere e dove ritrova l’amico Patini.
In questi anni conosce e frequenta illustri uomini di cultura grazie ai rapporti stabiliti dallo zio.
Nel 1856 entra nell’Accademia delle Belle Arti di Napoli, seguendo l’esempio dell’amico Patini, insieme al quale frequenta i corsi di Biagio Molinari e il tirocinio di Giuseppe Mancinelli.
Nel 1859 viene attratto dalla “riforma” della pittura avviata nella Città dal gruppo degli innovatori facenti capo a Morelli e Filippo Palizzi, del quale, segue gli insegnamenti imperniati nel “Magistero assoluto del vero”.
Nel 1860 figura fra i Decurioni del Municipio di Palena che fronteggiarono la violenta reazione popolare filoborbonica scoppiata nel paese.
Nel 1861 partecipa come socio nella fondazione della Società Promotrice.
Dal 1862 al 1888 si dedica quasi esclusivamente all’attività artistica, partecipando alle Esposizioni promosse quasi ogni anno dalla nuova Istituzione.
Muore improvvisamente nella solitudine della sua ultima dimora napoletana il 10 novembre 1904.
Gli unici due ampi dipinti del Maestro Recchione presenti in Abruzzo, anche se non molto noti, sono il Sant’Andrea Pescatore (1870) della chiesa della Madonna del Rosario a Palena, e laSacra Famiglia (1902) custodito nell’Abbazia di Monteplanizio a Lettopalena, resistiti ad entrambi i conflitti mondiali. Sorte contraria ebbe, invece, il San Falco, un altro dipinto sacro commissionatogli a Palena per la cattedrale, distrutta insieme alla tela, durante la seconda guerra mondiale.


La pala d’altare conosciuta con il nome di “Sacra Famiglia” fu datata e firmata da O. Recchione al 1902.
Il tema affrontato in questo dipinto è il senso raccolto della famiglia, rievocando, oltretutto, gli ambienti e la quotidianità della vita che si svolgeva nei cortili delle case di quel periodo, fra le faccende femminili e il lavoro degli artigiani.
La descrizione del quadro la affidiamo alle parole di Francesco Verlengia, importante studioso di Storia e di Arte:
« La scena è intima e raccolta: in ambiente aperto e luminoso, delimitato nel fondo dal muro di una casa e da un muretto di cinta, al di sopra del quale alcuni alberi proiettano le loro masse verdi e si stende un tratto di cielo con nuvole biancastre, siede la Vergine coperta da un manto azzurro e da un velo in atto di aggomitolare il filo di una matassa, che, di fronte a Lei, con le braccia aperte, sostiene il piccolo Gesù. Più in là, in secondo piano, presso un banco, S. Giuseppe attende al suo lavoro».
Anche in questo quadro, come nelle sue opere più famose, si scorge l’individualità dell’artista ed alcune caratteristiche che gli sono affini, come il senso classico della forma, la sobrietà delle tinte e la proiezione di una scena non alterata ma vera e percettibile, tendente alla semplicità ed alla linearità della struttura. Proprio per questa caratteristica, si ha opinione che l’arte del Maestro (in questi anni) sia stata persino influenzata dal movimento preraffaellita britannico.
Oggi il quadro è conservato nell’Abbazia di Monteplanizio, a Lettopalena.
Nel rievocare la vicenda che si nasconde dietro questa grande tela, preferiamo concludere il nostro piccolo omaggio al Maestro Oreste Recchione, ed alla grande opera che ci ha donato e che a un secolo di distanza con orgoglio ricordiamo, richiamando alla memoria il racconto di Verlengia, rimasto l’unico testimone degli avvenimenti.
"La storia del quadro è legata al nome di un vecchio abate di Lettopalena, don Giovanni di Paolo, che, amico del pittore, fu uomo di viva intelligenza, di grande prestigio, che, durante la sua lunga vita, nella bonomia del carattere e nella vigoria della persona, si può dire che impersonasse tutta Lettopalena, ove era nato e ove il suo nome anche oggi si rammenta. Il quadro fu eseguito a richiesta di don Giovanni e, come pegno di amicizia, fu eseguito senza compenso, salvo la rivalsa delle poche spese della tela e dei colori. In una lettera inviata da Napoli al vecchio abate, lettera che, insieme con altre, mi fu donata intorno al 1910 proprio da lui, il pittore, compiacendosi del gradimento dell'opera da parte dei lettesi, aggiunge che egli l'aveva eseguita "con simpatia e disinteresse solo per far piacere ad un caro amico" e, qualora si fosse meravigliato di ciò, lo invita a riflettere che egli appartiene alla vecchia generazione, quella dell'abate, "e non alla nuova", cioè, quella di allora, "senza ideali e tutta bottegaia".
Don Giovanni si disobbligò (nei confronti del pittore) con le manifestazioni più calorose e fraterne in vita, e, dopo la sua morte, avvenuta nel 1904, decretando che l'undici novembre di ogni anno, giorno anniversario di essa, nella chiesa di Lettopalena se ne celebrasse la memoria "con messa cantata, ufficio intero, e decente tumulo".
Purtroppo, Don Giovanni Di Paolo, più vecchio del pittore, morì non molti anni dopo di lui; si scatenarono, poi, la guerra libica, la prima guerra mondiale, la guerra etiopica e la seconda guerra mondiale, specialmente la seconda guerra mondiale, durante la quale il paese di Lettopalena, tutto chiuso fra la giogaia centrale della Majella e il fiume Aventino, fu distrutto, mentre, in un secondo tempo, la chiesa di S. Nicola, che ospitava il quadro, fu prima spogliata dei suoi arredi e poi abbattuta. Il quadro medesimo fu portato nella chiesa nuova ch'è al centro del nuovo paese, ricostruito in posizione più comoda e luminosa dell'antico, e forse la piccola storia, che ho ricostruito, è stata dimenticata. E allora, si potrebbe chiedere: perché rammentarla? Il motivo è stato ideale e sentimentale. L' ho rammentata perché si sappia che ai piedi della Majella, in uno dei nostri paesi più solitari, silenti, in nome della Religione e dell'Arte, un alto dialogo si svolse tra un vecchio parroco e un vecchio pittore; e che nel dialogo ambedue espressero la loro fede in un mondo sociale e spirituale, vivo e umano, superiore a quello de' loro tempi".
 
Dal libro “Oreste Recchione poeta della natura” a cura di Cosimo Savastano e Bianca Maria De Luca

Ultimo aggiornamento: 20 gennaio 2025, 14:57

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